La devozione a Belpasso
È dal 1636 che Belpasso ricorda ogni anno Santa Lucia. La festa era caratterizzata da particolari momenti, ancora vivi nella nostra comunità, come ad esempio la processione delle reliquie, la tredicina e i carri allegorici.
Dice Giuseppe Mirone: «Il clou di tutto questo trova concentrazione ideale nei giorni di dicembre per la tredicina, allorquando di mattina molto presto la gente, interrompendo l’indugio di ogni comodità, lascia il letto per andare in Chiesa a venerare la vergine Lucia e partecipare alla S. Messa. Ricordiamo con dolcezza e con nostalgia quando, bambini, alle cinque del mattino, presi di freddo, trovavamo calore dietro quell’altare, dove, in onore della nostra vergine Lucia, intonavamo quegli inni con padre don Santo ‘u Lungu’, che suonava, e ‘don Alfio’, il sacrista, che tirava il mantice per dare fiato alle canne dell’organo. Alla fine della tredicina, la tradizione voleva che la signorina Santa, sorella di padre don Santo, portasse il cacao e i biscotti bersaglieri ai cantori. La tredicina si faceva di mattina molto presto perché allora non c’era la messa pomeridiana e, per dare la possibilità agli agricoltori, agli operai di recarsi in orario sul posto di lavoro, la celebrazione della messa, che avveniva senza l’omelia, si svolgeva al sorgere del sole (tra scuru e lustru).
La gioia notturna dell’Ascino, una località alla periferia del paese, dalla quale la notte tra il 12 e il 13 dicembre si sprigionavano i fuochi pirotecnici, alternati dal suono del campanone, è una tradizione che ancora oggi è molto sentita, e che trova la sua origine nella necessità dei Belpassesi di indicare la strada ai fedeli provenienti da ogni parte dei paesi etnei, i quali, durante quella notte, si incamminavano verso la Chiesa Madre per rendere culto a Santa Lucia. A quei tempi, infatti, non c’era la viabilità agevole di oggi, c’era la ‘viuzza’, la strada di campagna. Così, durante questa notte magica, dice Paolo Bellia: «[…] l’Ascinu e il campanile brillavano di fuochi e l’aria odorava di salsiccia e di buon vino, per riscaldare la veglia dei concittadini devoti».
L’apertura dei festeggiamenti in onore della Santa Patrona Lucia aveva inizio il pomeriggio del 12 dicembre con la tradizionale processione delle reliquie. Dice padre Vasta: «Non si poteva iniziare una festa se non c’era la processione delle reliquie». Dopo la processione, c’era l’esecuzione delle cantate in onore di Santa Lucia da parte dei giovani dei diversi quartieri e la presentazione dei carri allegorici.
Dice Paolo Bellia: «Un momento caratteristico della festa è l’ingresso della Santa allo ‘stricanacchiu’, caratterizzato dal disparo, con un crescendo di trac-trac, muschittaria a ripetizione, colpi a cannoni, fiaccolata col ‘pupo di Guglielmino’, cassa infernale e migghiaia di muschittaria e fumo, diradato il quale si vedono la vara e la Santa custodita dal parroco Roccella e da Vrasi (Biagio) Cavallaro, socialista, devotissimo alla Santa, mastro di vara. U partitu di Carina, Antonio Rapisarda, accoglieva la Santa con rumorosissimi fuochi al ‘Giardinu ‘o Signuri’ (rione del paese).
La festa per noi rappresenta un momento di vera unità popolare, annullando le differenze sociali e politiche. Attorno alla Santa si riuniscono con le stesse devozioni democristiani, comunisti, socialisti. La festa popolare religiosa rappresenta, inoltre, la vera unica ‘identità culturale’ dei nostri connazionali all’estero che ritornano, a costo di sacrifici, nei nostri paesi nei giorni della festa della Santa, oppure ripropongono la festività con tutta la carica popolare e folkloristica nei paesi di emigrazione».
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